- Home
- DFAE
- Attualità
-
Comunicati stampa
Comunicati stampa
Intervista a Stanislav Lotrič, responsabile delle operazioni della protezione civile slovena.
Da quanto tempo Lei e la protezione civile siete coinvolti nella gestione della crisi dei profughi?
Dal principio, ossia dall’inizio di settembre. I primi giorni sono stati molto difficili, poiché non ci aspettavamo un flusso così massiccio di persone. Sapevamo che i profughi si sarebbero diretti verso la Slovenia, dato che l’Ungheria da mesi stava innalzando una recinzione, ma non avevamo messo in conto numeri così elevati. Alcuni giorni siamo arrivati a registrare 11’000 arrivi.
Quando ha capito che la Slovenia non può gestire da sola questa crisi e ha bisogno dell’aiuto di Paesi terzi come la Svizzera?
Quando ci siamo resi conto dell’afflusso giornaliero di profughi, abbiamo capito che presto o tardi il materiale non sarebbe più bastato. Ci siamo allora rivolti all’Unione europea, chiedendo assistenza, e parallelamente abbiamo sollecitato l’aiuto di altri Paesi, tra cui Svizzera, Ungheria, Austria, Francia, Spagna e Repubblica Ceca.
Le esperienze di questi Paesi, tra cui la Svizzera, sono utili per affrontare la crisi in atto?
Molto utili. Raccogliamo altri punti di vista e impariamo a guardare le cose da un’altra prospettiva. Gli esperti svizzeri, per esempio, hanno molta più esperienza nell’allestire in modo efficace un deposito o un centro di accoglienza. Per noi, non sono attività all’ordine del giorno, e la Slovenia ha relativamente poca esperienza con gli aspetti religiosi o culturali dei profughi provenienti dal Vicino e Medio Oriente. In passato, certo, ci siamo già confrontati con l’afflusso di profughi in fuga per esempio dalla Bosnia e Erzegovina durante la guerra nei Balcani, ma la situazione allora era completamente diversa. Le persone che giungevano in Slovenia avevano parenti nel nostro Paese e non vi erano differenze culturali. Non ci trovavamo di fronte a una cultura completamente diversa, come accade invece ora. L’esperienza della Svizzera è molto preziosa.
È importante per Lei sapere che può contare sul sostegno di terzi?
La crisi dei profughi siriani è un problema che non tocca solo noi, ma tutta l’Europa. La Slovenia è un Paese di transito e noi facciamo del nostro meglio affinché le persone non perdano la loro dignità. Ma è importante sapere che possiamo contare sull’aiuto di altri Paesi. Non siamo più soli nell’affrontare la crisi, sentiamo il sostegno degli altri, e di questo siamo molto riconoscenti.
Da quando la crisi dei profughi è scoppiata, ha mai avuto un attimo di tregua?
Sì, è capitato, ma siamo ancora in modalità di crisi. Lavoro alla protezione civile da 12 anni e ho già dovuto affrontare situazioni molto critiche, come durante il gelicidio del febbraio 2014 o durante le inondazioni, ma in quei casi sapevamo che la crisi o la catastrofe sarebbe passata. La situazione che viviamo oggi è diversa. Non vediamo la luce alla fine del tunnel. I profughi giungono attraverso la Grecia, e l’afflusso è continuo. È questa la differenza fondamentale rispetto a una catastrofe naturale.
E Lei, personalmente, come affronta questa situazione?
Cerco di fare del mio meglio. Per il momento le cose sono sotto controllo, vedremo cosa ci riserba il futuro.