Quali sono i campi disciplinati dall’accordo di Schengen? E i vantaggi del «visto Schengen» per la Svizzera? Perché, in riferimento a Schengen, si menziona anche Dublino? La Svizzera partecipa dal 2008 alla cooperazione nel quadro di Schengen e profitta delle facilitazioni relative alla mobilità e di un incremento della sicurezza nello «Spazio Schengen». Le risposte alle domande più frequenti spiegano il significato dell’accordo Schengen/Dublino.
FAQ Schengen/Dublino
Che cos'è Schengen?
Schengen è un piccolo villaggio viticolo del Lussemburgo, situato sulle rive della Mosella, al crocevia di tre frontiere: lussemburghese, tedesca e francese. È lì che Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi firmarono il 14 giugno 1985 l’Accordo di Schengen.
Questo accordo mira a facilitare la circolazione transfrontaliera all’interno di quello che viene comunemente chiamato «Spazio Schengen» o «area di Schengen». I viaggiatori non sono più sottoposti in linea di massima a controlli alle frontiere interne dell’area di Schengen (occorre tuttavia precisare che, per quanto riguarda i controlli doganali, la Svizzera rappresenta un caso particolare). I viaggiatori provenienti da Stati terzi, ossia che non appartengono né all’Unione europea né all’AELS, possono spostarsi liberamente all’interno dello Spazio Schengen per 90 giorni al massimo, su un periodo totale di 180 giorni. I Paesi che partecipano a Schengen hanno armonizzato le loro rispettive disposizioni dopo aver disciplinato i visti per soggiorni di breve durata («visti Schengen»). Al tempo stesso, l’accordo prevede un pacchetto di misure che mira a garantire e a potenziare la sicurezza interna. Con l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam nel 1999, l’Accordo di Schengen è stato recepito nel quadro legislativo dell’UE e da allora fa parte del diritto comunitario in quanto «acquis di Schengen».
- potenziare i controlli alle frontiere esterne dell’area di Schengen;
- migliorare la cooperazione transfrontaliera tra i vari servizi di polizia;
- modernizzare le modalità di scambio d’informazioni relative a persone e a oggetti ricercati (Sistema d’informazione Schengen, SIS);
- tendere verso una politica comune in materia di visti;
- semplificare la cooperazione in ambito giudiziario;
- cooperare nell’ambito della lotta contro il traffico di sostanze stupefacenti.
L’acquis di Schengen ha, da un lato, abolito i controlli sistematici d’identità alle frontiere interne dell’UE e, dall’altro, dato origine a misure di compensazione finalizzate a garantire un elevato standard di sicurezza interna degli Stati membri; queste prevedono di:
Tutti i Paesi membri dell’Unione europea prendono parte integralmente alla cooperazione di Schengen, tranne la Romania, la Bulgaria e Cipro. La Danimarca, l’Irlanda e il Regno Unito dispongono tuttavia di uno statuto speciale. La Norvegia, l’Islanda, la Svizzera e il Liechtenstein aderiscono alla cooperazione Schengen come Stati terzi associati.
Il Regno Unito e l’Irlanda formano già una zona comune di libera circolazione delle persone: pertanto non partecipano alla cooperazione in materia di visti e non hanno abolito i controlli alle loro frontiere. Ciononostante, il Regno Unito e l’Irlanda possono, in base al diritto di partecipazione selettiva (il cosiddetto «opt-in»), partecipare in qualsiasi momento ad alcuni settori di cooperazione di Schengen. Il Regno Unito per esempio ha esercitato questo diritto nel 2015 aderendo al Sistema d’informazione Schengen SIS.
La Danimarca gode della clausola di esenzione («opting out») ossia di una deroga relativa a una parte dell’acquis di Schengen/Dublino (visti, asilo e immigrazione).Pertanto essa può decidere, caso per caso, se partecipare in modo totale o parziale alle misure previste in quei settori di cooperazione.
L’adesione a Schengen da parte di Romania, Bulgaria e Cipro è prevista nei prossimi anni.
La partecipazione operativa della Svizzera a Schengen è effettiva dal 12 dicembre 2008 (dal 29 marzo 2009 per quanto riguarda gli aeroporti). Prima, però, si è verificato se la Svizzera era in grado di attuare gli standard Schengen in materia di sicurezza. Questa «valutazione Schengen» costituiva una condizione preliminare per poter prendere parte al sistema.
L’accesso al Sistema d’informazione Schengen (SIS) così come il potenziamento della cooperazione internazionale contribuiscono a migliorare la sicurezza in Svizzera. I controlli svolti alle frontiere esterne dell’area di Schengen sono stati potenziati e la cooperazione transfrontaliera fra corpi di polizia e autorità giudiziarie è più intensa. Inoltre, tramite provvedimenti nazionali ad hoc, è possibile svolgere controlli mobili delle persone nell’entroterra frontaliero così come all’interno del Paese. In caso di grandi manifestazioni o incontri sportivi oppure di minaccia precisa, i singoli Stati Schengen possono inoltre riattivare temporaneamente i controlli sistematici d’identità ai confini interni. Nel contesto della tesa situazione migratoria in Europa, vari Stati Schengen hanno fatto ricorso a questa possibilità essendo sottoposti a una forte pressione. I controlli doganali interni non servono a tener lontani i migranti, ma a garantire controlli sufficienti per accertare chi si trova nel Paese. Se dovesse essere necessario, anche la Svizzera può introdurre in ogni momento e temporaneamente i controli doganali interni.
Ad eccezione di alcuni legami tecnici, non esiste un legame giuridico tra l’Accordo sulla libera circolazione delle persone (ALC) e l’Accordo su Schengen/Dublino (Bilaterali II), accettato in votazione popolare il 5 giugno 2005. L’ALC permette agli Svizzeri di accedere al mercato del lavoro dell’Unione europea e ai cittadini dell’UE di avere accesso a quello svizzero. Esso disciplina quindi il soggiorno di lunga durata (segnatamente nell’ambito dell’attività lavorativa). Schengen invece disciplina il transito attraverso le frontiere e i soggiorni di breve durata di cittadini di Stati terzi (fino a 90 giorni).
Protezione delle frontiere
In linea generale: i controlli sistematici delle persone, in assenza di sospetti fondati effettuati a causa del semplice passaggio del confine svizzero, non vengono effettuati. A differenza degli Stati membri dell’UE, la Svizzera non appartiene all’Unione doganale europea e pertanto i controlli doganali alle frontiere sono mantenuti. Le guardie di confine sono abilitate, nell’ambito di un controllo doganale, a svolgere anche accertamenti d’identità, per motivi di sicurezza personale e a condizione che sussistano indizi chiari circa la pericolosità della persona da controllare. Infine, se nell’ambito del controllo doganale sorgono sospetti (ad esempio se nel veicolo vengono rinvenuti attrezzi da scasso), le guardie di confine possono procedere al cosiddetto «controllo delle persone dovuto a sospetto iniziale». All’occorrenza, le pattuglie possono per di più effettuare controlli d’identità mobili e mirati lungo la cosiddetta «frontiera verde», vale a dire nell’entroterra frontaliero, così come all’interno del Paese.
In talune situazioni, il Corpo delle guardie di confine è abilitato a svolgere, con l’ausilio di pattuglie mobili, controlli d’identità nell’entroterra frontaliero. Questi controlli di polizia all’interno del Paese devono essere distinti dalle attività di controllo alla frontiera. Le direttive di attuazione di Schengen non definiscono in che modo tali controlli all’interno del Paese debbano essere eseguiti e gli Stati che partecipano alla cooperazione di Schengen sono liberi di svolgerli nel modo che ritengono più opportuno. Taluni Stati, ad esempio, non hanno stabilito zone fisse entro le quali svolgere i controlli. Data la topografia elvetica, fissare una zona frontaliera generale larga 20 chilometri avrebbe poco senso per cui il Corpo delle guardie di confine ha concluso con numerosi Cantoni delle convenzioni che definiscono sotto quale forma e in quali zone le guardie di confine sono abilitate ad effettuare controlli.
Anche se nel quadro di Schengen in linea di massima non vengono più effettuati controlli alle frontiere interne, il Codice frontiere Schengen prevede che singoli Stati possano ripristinare temporaneamente controlli sistematici alle frontiere nel caso in cui l’ordine pubblico o la sicurezza interna siano gravemente minacciati, ad esempio nel caso di gravi minacce terroristiche o di imminenti grandi manifestazioni. Su queste disposizioni si basano anche i controlli d’identità in determinate parti della frontiera, reintrodotti nel settembre 2015 da diversi Stati Schengen, tra cui l’Austria e la Germania.
Anche la Svizzera può – se lo ritiene necessario e le condizioni del Codice frontiere Schengen sono adempiute – reintrodurre temporanemente controlli alle frontiere per un periodo massimo di sei mesi. La Svizzera ha finora rinunciato, poiché non vi sono i presupposti per farlo. La situazione viene tuttavia monitorata con attenzione e, se necessario, la valutazione è passibile di modifiche.
In Svizzera, gli aeroporti costituiscono gli unici confini esterni dello Spazio Schengen. I passeggeri provenienti da o a destinazione di Paesi che non appartengono all’area di Schengen continuano a sottostare a verifiche sistematiche negli aeroporti in Svizzera (in altri termini: controllo del passaporto, consultazione mirata del SIS, il Sistema d’informazione Schengen ed eventualmente timbratura del documento di viaggio). Inoltre, nel caso di cittadini di Stati terzi che arrivano in Svizzera, ’può essere effettuato un controllo del visto. Le persone che circolano entro i confini interni dell’area di Schengen non sono invece sottoposte a controlli. Questo spiega perché le due «categorie» di passeggeri sono separate fisicamente in due file distinte al momento del controllo dei passaporti. A livello dei controlli doganali tutto rimane come prima. Tali disposizioni sono state introdotte negli aeroporti svizzeri il 29 marzo 2009, ossia quando sono subentrati i nuovi orari di volo.
Dipende dalla legislazione in vigore in ciascuno Stato Schengen. Per quanto riguarda la Svizzera, è ancora necessario presentare un documento di viaggio (passaporto, carta d’identità) al momento di varcare il confine. Anche con l’introduzione di Schengen, i viaggiatori possono vedersi confrontati con un controllo d’identità per cui è consigliato essere sempre provvisti di un documento di viaggio valido oppure di una carta d’identità.
Banca dati SIS e cooperazione in materia di polizia
Gli Stati Schengen hanno creato uno schedario elettronico di ricerca, valido per tutta l’Europa, denominato Sistema d’informazione Schengen (SIS). Questo sistema permette di diramare le richerche di persone o oggetti in tutta l’area di Schengen. La notifica tempestiva di un avviso di ricerca in tutta Europa aumenta così notevolmente le probabilità, per esempio, di ritrovare un delinquente in fuga oppure un veicolo rubato. L’accesso svizzero a SIS è in funzione dal 14 agosto 2008. Dal punto di vista svizzero SIS è molto efficiente. In media ogni giorno vengono effettuati 40 ritrovamenti.
Il SIS è una banca dati, valida per tutta l’Europa, che contiene informazioni riguardanti oggetti rubati, sottratti o smarriti (quali autoveicoli, armi, documenti d’identità) nonché persone colpite da un divieto d’entrata oppure ricercate dalla giustizia (ad esempio, in qualità di testimoni) o disperse, persone oggetto di inchieste mascherate o sottoposte ad arresto ai fini dell’estradizione. La maggior parte delle registrazioni concerne documenti persi o rubati e veicoli rubati.
È stato definito chiaramente quali dati personali possono figurare in questa banca dati: l’identità della persona, le sue caratteristiche fisiche, il motivo dell’iscrizione nella banca dati e le misure da adottare nei suoi confronti (arresto oppure annuncio per esempio). È inoltre possibile precisare se la persona in questione è «armata» o «pericolosa» e inserire anche foto e impronte digitali. Solo le persone che hanno commesso un’infrazione repressa con una pena privativa della libertà di almeno un anno (furto aggravato, traffico di droga, omicidio ecc.) o che sono state condannate a una pena privativa della libertà di almeno quattro mesi, possono fare l’oggetto di un’iscrizione nella banca dati.
Il SIS dispone di un elevato standard internazionale di protezione dei dati. Questo sistema è composto da una banca dati centrale, gestita a Strasburgo, in Francia, alla quale sono collegati i vari sistemi d’informazione Schengen nazionali (i cosiddetti «N-SIS»). L’osservanza delle norme di protezione dei dati sottostà a verifiche tanto a livello nazionale che cantonale, svolte da autorità di controllo indipendenti. I dati che possono essere introdotti nella banca dati del SIS sono stati definiti a chiare lettere. Solo una cerchia ristretta di persone è autorizzata ad accedervi ed esclusivamente ai fini della segnalazione. Oltre alle forze di polizia, anche il Corpo delle guardie di confine, le rappresentanze svizzere all’estero, le autorità incaricate della migrazione, il ministero pubblico e i servizi della circolazione posso accedere a queste informazioni. Ogni utilizzo del SIS viene sistematicamente registrato al fine di evitare qualsiasi abuso. Il funzionario di polizia che procede a un controllo in strada oppure l’agente consolare distaccato all’estero non hanno accesso a tutte le informazioni contenute nella banca dati, ma possono sapere se la persona oppure l’oggetto in questione figurano nello schedario SIS (il cosiddetto sistema «hit/no-hit»). Essi hanno accesso inoltre ad alcune indicazioni quali l’identità della persona, i suoi connotati, il motivo della sua segnalazione, i provvedimenti da adottare nei suoi confronti e la nota: «persona armata», «violenta» oppure «in fuga». Se desiderano saperne di più, devono inoltrare una domanda debitamente motivata alle autorità del Paese incaricato della gestione del SIS. I dati vengono cancellati dallo schedario quando il motivo della segnalazione non sussiste più; analogamente è previsto un termine oltre il quale l’informazione viene cancellata automaticamente.
Le persone interessate godono del diritto di consultare i dati che le riguardano: esse possono richiedere che venga controllata l’esattezza dei dati nonché esigere la rettifica e/o la cancellazione delle informazioni contenute nella banca dati, introducendo una domanda in merito. In Svizzera, l’autorità competente in materia è l’Ufficio federale di polizia.
Il lavoro dell’Ufficio europeo di polizia (Europol) completa gli strumenti di Schengen. Solo gli Stati dell’Unione europea sono membri a tutti gli effetti di Europol. La Svizzera vi partecipa dal 2006, sulla base di un accordo di cooperazione. Europol, la cui sede è ubicata all’Aia, in Olanda, è incaricata principalmente di raccogliere e di valutare i dati relativi alla lotta contro la criminalità organizzata. Essa contempla varie categorie di reati, segnatamente nei seguenti settori: terrorismo, traffico illecito di materiali nucleari e radioattivi, tratta di esseri umani, filiere d’immigrazione clandestina e attività dei passatori e traffico illecito di sostanze stupefacenti.
Anche Europol dispone di una banca dati utile per effettuare indagini, il Sistema d’informazione Europol (EIS), che contiene una maggiore quantità di informazioni rispetto al SIS su individui, gruppi criminali, connessioni tra persone, inchieste in corso e mezzi di comunicazione impiegati. La Svizzera può ottenere le informazioni contenute in questa banca dati facendone richiesta a Europol, ma non ha un accesso diretto e in tempo reale a EIS. I collaboratori di Europol analizzano ed elaborano i dati relativi alla criminalità organizzata trasmessi dai vari servizi nazionali di polizia. Un funzionario di polizia che desidera ottenere informazioni deve mettersi in contatto con il rappresentante nazionale del proprio Paese presso Europol. Quest’ultimo provvederà alla ricerca dei dati richiesti.
Anche il lavoro svolto da Interpol si integra alla cooperazione tra forze di polizia nell’ambito di Schengen. La missione d’Interpol, la cui sede si trova a Lione, in Francia, consiste nel promuovere, a livello mondiale, la cooperazione tra autorità nazionali di polizia. Interpol trasmette segnatamente informazioni relative a criminali ricercati, svolge indagini sui modus operandi del crimine in generale ed esamina l’evoluzione della criminalità. La collaborazione tramite SIS nell’ambito delle attività di indagine nello spazio europeo è tuttavia prioritaria tra gli Stati Schengen perché si effettua in tempo reale e sul campo. Richieste che giungono da altri canali (come ad esempio dall’Interpol) in parte non sono più trattate tempestivamente.
Politica dei visti
La Svizzera ha adottato la politica del visto di breve soggiorno (massimo 90 giorni) in vigore negli Stati Schengen. Il «visto Schengen» è quindi valido anche in Svizzera. Le comitive di turisti e gli uomini d’affari che sottostanno all’obbligo del visto e che si recano in Europa, con la Svizzera quale destinazione principale, devono presentare presso il consolato svizzero una richiesta per ottenere un visto Schengen che è quindi valido in tutta l’area di Schengen. Analogamente, la Svizzera riconosce i visti rilasciati dai consolati degli Stati Schengen. In questo modo i viaggiatori stranieri che sottostanno all’obbligo del visto per entrare nel nostro Paese possono ora fare una puntata in Svizzera senza spese supplementari. Il fatto di essere collegati con il Sistema d’informazione Schengen assicura d’altra parte che le persone indesiderate in Svizzera non ricevano un visto da parte di un altro Stato Schengen e viceversa.
Il visto Schengen sostituisce solo il visto svizzero per soggiorni di breve durata (fino a un massimo di 90 giorni, su un periodo totale di 180 giorni). Sono prevalentemente i turisti e gli uomini d’affari ad averne bisogno. Quest’ultimi possono d’ora in poi viaggiare in Svizzera e nel resto dello Spazio Schengen muniti di un unico visto. I visti per soggiorni superiori a 90 giorni (visti nazionali) continuano ad essere rilasciati secondo le vigenti disposizioni in Svizzera. Se, ad esempio, uno studente indiano desidera soggiornare per un anno in Svizzera per motivi di studio ha bisogno di un visto nazionale rilasciato dalle competenti autorità svizzere.
No: chiunque vive in uno Stato membro di Schengen ed è titolare di un permesso di soggiorno valido, può circolare nell’area di Schengen senza bisogno di visto. Occorre tuttavia sempre munirsi del proprio permesso di soggiorno e di un documento di viaggio in regola. Inoltre, ogni soggiorno nello Spazio Schengen, fuori dal Paese di residenza, non può eccedere 90 giorni (in un periodo di 180 giorni).
Al ricevimento di ogni richiesta di visto Schengen, viene registrato un certo numero d’informazioni in una banca dati specifica, il sistema d’informazione sui visti (VIS). Tale sistema migliora l’attuazione della politica comune in materia di visti, la cooperazione tra autorità consolari nonché la consultazione tra autorità competenti.
Politica in materia di droghe e assistenza giudiziaria
Gli Stati Schengen si sono impegnati a lottare contro il traffico illecito di sostanze stupefacenti. Nondimeno, Schengen lascia ai vari Stati un margine di manovra sufficiente per condurre la loro politica di lotta contro il traffico illecito di droga. Schengen stabilisce che questa politica deve essere elaborata in modo da non intralciare o impedire l’applicazione delle normative adottate dagli Stati limitrofi. La cooperazione con gli Stati Schengen è importante principalmente per quanto concerne la lotta contro il traffico di droga.
Oltre al rafforzamento della cooperazione di polizia, la migliore collaborazione delle autorità giudiziarie (tribunali, autorità inquirenti) tra gli Stati Schengen costituisce un’ulteriore misura per mantenere gli standard di sicurezza. La collaborazione si concentra in particolare sull’assistenza giudiziaria in materia penale, l’estradizione di delinquenti e la trasmissione dell’esecuzione delle sentenze penali. L’obiettivo principale consiste nello snellire le procedure. Ad esempio, le autorità di perseguimento penale degli Stati Schengen possono comunicare senza far capo al Ministero di giustizia. Inoltre la collaborazione Schengen rende possibile l’estradizione senza procedura formale, se la persona interessata vi acconsente. In Svizzera la collaborazione giudiziaria nell’ambito dell’associazione a Schengen ha dato buoni risultati nella pratica. Nell’ambito della cosiddetta assistenza giudiziaria accessoria («piccola»), per esempio, le relazioni dirette tra le autorità di perseguimento penale è oggi la regola. Il mandato di arresto europeo, concordato tra Stati membri dell’UE, non è contemplato dalla normativa di Schengen e pertanto non viene applicato dalla Svizzera.
Schengen estende l’assistenza giudiziaria anche al settore della fiscalità indiretta: di conseguenza, la Svizzera presta assistenza giudiziaria anche nei casi di sottrazione d’imposta riferiti a imposte indirette e dazi. Inoltre in base all’accordo sulla lotta contro la frode Svizzera–UE, la Svizzera offre agli Stati membri dell’UE assistenza giudiziaria negli ambiti in cui l’accordo trova applicazione. Nella prassi si offre assistenza giudiziaria quasi esclusivamente sulla base dell’accordo sulla lotta contro la frode.
Nel settore delle imposte dirette Schengen non ha ampliato gli obblighi di assistenza giudiziaria da parte della Svizzera. In particolare, non le deriva nessun obbligo di dare seguito alle domande di perquisizione e sequestro nel settore della fiscalità diretta. In caso di sviluppi in questo ambito, la Svizzera ha negoziato con l’UE una deroga a tempo indeterminato che la esonera dall’obbligo di recepire le modifiche normative.
Legislazione sulle armi
Le prescrizioni sulle armi di Schengen hanno lo scopo di stabilire, nell’interesse della sicurezza interna, alcune condizioni quadro per la diffusione di armi da fuoco civili all’interno dello spazio Schengen. La direttiva prevede ad esempio che l’acquisto di armi da fuoco venga registrato e che il traffico transfrontaliero con armi da fuoco venga documentato. Nell’ambito dell’associazione a Schengen anche la Svizzera ha adottato la direttiva sulle armi e attua le sue prescrizioni dal 2008. In particolare, con l’introduzione della Carta europea d’arma da fuoco (una sorta di «passaporto» europeo per armi da fuoco) le formalità richieste per trasportare un’arma da uno Stato all’altro all’interno dello Spazio Schengen sono semplificate; possono quindi approfittarne, per esempio, i membri di un club di tiro sportivo in caso di trasferta per partecipare ad una gara internazionale o quelli di un’associazione venatoria in occasione di una battuta di caccia all’estero. Nel maggio del 2017 la direttiva sulle armi è stata sottoposta a una revisione parziale. Contro la trasposizione di questa revisione nella legislazione svizzera sulle armi è stato lanciato un referendum. La revisione parziale della legislazione svizzera sulle armi è stata accettata alle urne il 19 maggio 2019.
La legislazione sulle armi è regolarmente adeguata alle nuove esigenze. La revisione entrata in vigore prende in considerazione anche le conoscenze acquisite in occasione degli attacchi terroristici a Parigi, Bruxelles e Copenaghen nel 2015 e persegue l’obiettivo di tutelare i cittadini dall’uso abusivo delle armi a fini criminali.
La direttiva sulle armi definisce condizioni minime per la diffusione di armi da fuoco civili. La questa revisione introduce l’obbligo di contrassegnare tutte le parti essenziali di un’arma al fine di consentire alle autorità di polizia di chiarire l’origine di un’arma con maggiore facilità. La direttiva intende inoltre migliorare lo scambio di informazioni con gli altri Stati Schengen in merito a persone la cui domanda di acquisto di un’arma da fuoco è stata respinta per ragioni di sicurezza. Sono altresì contemplate modifiche specifiche concernenti l’autorizzazione relativa a certe armi da fuoco semiautomatiche. Sarà tuttavia ancora possibile acquisire i fucili d’assalto dopo il servizio militare direttamente dall’esercito. E, ad esempio, i cacciatori e i giovani tiratori, non sono interessati dalla revisione.
Le modifiche di legge migliorano la protezione dall’uso abusivo di armi e comportano adeguamenti meramente amministrativi per una parte dei tiratori. Gli aspetti essenziali della legislazione svizzera sulle armi restano pertanto invariati, in particolare le condizioni generali per procedere al loro acquisto.
Il recepimento nella legislazione nazionale delle nuove disposizioni della direttiva ha richiesto modifiche a livello di leggi e ordinanze. Il Parlamento ha messo a punto tali modifiche, approvandole il 28 settembre 2018. I cittadini svizzeri sono stati chiamati a esprimere il proprio parere sul progetto il 19 maggio 2019 in sede di referendum. In questa occasione, il popolo svizzero ha approvato la revisione parziale della legislazione svizzera sulle armi.
Un rifiuto avrebbe impedito la trasposizione della nuova direttiva nel diritto svizzero e molto probabilmente avrebbe messo fine alla collaborazione con la rete degli Stati Schengen e Dublino
(Vedere anche: Fine degli Accordi di Schengen/Dublino).
Il 19 maggio i cittadini esprimeranno il proprio parere nell’ambito del referendum contro il recepimento della direttiva sulle armi. Se la richiesta del referendum sarà accolta, la Svizzera non potrà recepire e attuare questo sviluppo giuridico di Schengen entro il termine di due anni (31 maggio 2019), contravvenendo così agli obblighi derivanti dall’Accordo di associazione a Schengen. Il mancato recepimento di uno sviluppo giuridico di Schengen quale la direttiva sulle armi comporterebbe lo scioglimento dell’Accordo di associazione a Schengen, a meno che un comitato misto (composto dalla Svizzera, dalla Commissione europea e da tutti gli Stati membri dell’UE) non decidesse altrimenti all’unanimità entro 90 giorni (art. 7 par. 4 dell’Accordo di associazione a Schengen). Ciò porterebbe automaticamente anche alla denuncia dell’Accordo di associazione a Dublino. La cessazione della cooperazione di Schengen e di Dublino avrebbe pesanti ripercussioni per la sicurezza, il settore dell’asilo, il traffico di confine, la libertà di movimento e l’economia della Svizzera nel suo insieme. Le perdite non potrebbero essere completamente compensate nemmeno con sforzi e investimenti notevoli (cfr. più sotto le ripercussioni concrete di una cessazione della cooperazione di Schengen/Dublino).
Che cos'è Dublino?
La Convenzione di Dublino è stata firmata dagli Stati membri dell’UE il 15 giugno 1990 nella capitale irlandese. Essa stabilisce quale Stato è competente per l’esame di una domanda di asilo, ma non definisce come devono essere organizzati i sistemi di asilo nazionali. Al fine di evitare che tutti gli Stati membri si dichiarino non competenti in materia oppure per impedire che un richiedente possa presentare più di una domanda d’asilo, è stato necessario elaborare dei criteri che stabiliscano quale Stato è competente e responsabile. Si tratta, in pratica, dello Stato col quale «sussiste il più stretto legame» (o perché il richiedente ha parenti in quel Paese oppure perché si tratta del primo Paese nel quale il richiedente è giunto o è entrato varcandone i confini illegalmente). Dublino stabilisce d’altra parte i termini di procedura che mirano a rendere la cooperazione ancora più efficace. Gran Bretagna, Irlanda, Bulgaria, Romania e Cipro partecipano alla cooperazione di Dublino ma non a Schengen. Anche la Norvegia, l’Islanda, il Liechtenstein e la Svizzera partecipano a Dublino come Stati associati.
Esiste uno stretto legame tra le cooperazioni di Schengen e di Dublino per quanto riguarda i contenuti riconducibili alla genesi di quei testi. Nell’ambito dei negoziati tra la Svizzera e l’UE, i due accordi sono stati considerati perciò come un tutto: dal punto di vista giuridico, entrambi gli accordi sono legati tra di loro e la disdetta di un Accordo comporta automaticamente la cessazione dell’altro.
La banca dati Eurodac, operativa dal 15 gennaio 2003, raccoglie le impronte digitali dei richiedenti l’asilo e degli immigrati che hanno varcato clandestinamente le frontiere dell’UE. Questa banca dati si integra alla cooperazione di Dublino in quanto permette di dimostrare, prove alla mano, che un richiedente l’asilo ha già presentato una domanda oppure che ha soggiornato in un altro Stato membro dell’UE. Questa informazione costituisce un elemento di prova importante al fine di determinare quale Stato è competente per l’esame della domanda di asilo. Grazie alla sua adesione all’Accordo di Dublino, la Svizzera è in grado d’identificare più facilmente queste domande e non ha più bisogno di esaminarle per conto proprio.
La cooperazione di Dublino determina quale Paese è competente e responsabile dell’esame di una domanda di asilo. Le persone che hanno già presentato una domanda in un altro Stato membro di Dublino possono essere ricondotte nel Paese competente. Al contrario, Dublino non influisce minimamente sulla normativa nazionale relativa al riconoscimento dello statuto di rifugiato. Dalle verifiche eseguite recentemente risulta che la Svizzera è stata in grado di ricondurre verso altri Stati un numero maggiore di richiedenti l’asilo rispetto a quello che ha dovuto riprendere.
Dato che gli accordi di partecipazione a Schengen e Dublino sono legati, la partecipazione operativa della Svizzera a entrambi gli accordi ha preso effetto contemporaneamente; vale a dire il 12 dicembre 2008.
In seguito agli attuali flussi migratori, il sistema di Dublino è ora messo a dura prova, anche perché è stato creato sotto altri auspici. Per questo motivo l’UE lavora a un adeguamento di tale sistema che dovrebbe, tra l’altro, permettere di ottenere una compensazione degli oneri equa tra gli Stati membri e impedire la migrazione secondaria. La Commissione europea ha presentato al riguardo una proposta di regolamento. Anche la Svizzera partecipa alle discussioni e accoglie favorevolmente l’orientamento delle riforme.
Partecipazione della Svizzera a Schengen/Dublino
In quanto Stato associato a Schengen, la Svizzera ha diritto di partecipare al processo decisionale concernente lo sviluppo dell’acquis. Questo diritto è importante in quanto le decisioni sono di norma adottate mediante consenso. Ciò consente alla Svizzera di partecipare alle decisioni inerenti agli sviluppi dell’acquis, difendendo i propri interessi direttamente in sede di colloqui con gli esperti o nell’ambito di incontri a livello diplomatico o ministeriale.
Nell’ambito di Dublino i diritti di partecipazione della Svizzera sono più limitati, ma consentono comunque al nostro Paese di avere informazioni sui testi in preparazione e di far valere le proprie posizioni.
Con l’associazione a Schengen/Dublino la Svizzera ha in linea di principio assunto l’obbligo di recepire, in armonia con le proprie disposizioni costituzionali, gli sviluppi del diritto determinante entro un termine di due anni. La Svizzera riceve una notifica per ogni sviluppo approvato. A partire dalla data di approvazione, la Svizzera ha 30 giorni di tempo per esprimersi sul recepimento e per confermarlo nell’ambito di uno scambio di note. Se l’atto giuridico notificato comporta l’assunzione di nuovi diritti e doveri, lo scambio di note rappresenta per la Svizzera un trattato internazionale, che come tale deve essere approvato dal Consiglio federale o dal Parlamento. In questo caso lo scambio di note avviene con riserva di approvazione parlamentare, che eventualmente sottostà al referendum facoltativo.
Fine degli Accordi di Schengen/Dublino
Se la Svizzera rifiuta di recepire un tale sviluppo nel proprio diritto, entrambi gli accordi di associazione con gli Stati di Schengen/Dublino decadono, a meno che un comitato misto non decida altrimenti entro 90 giorni. In questo comitato misto sono rappresentati la Svizzera, la Commissione europea e tutti gli Stati membri dell’UE. La decisione di proseguire la collaborazione deve essere unanime. Finora queste disposizioni degli Accordi non sono mai state applicate.
La cessazione della cooperazione di Schengen e di Dublino avrebbe pesanti ripercussioni per la sicurezza, il settore dell’asilo, il traffico di confine, la libertà di movimento e l’economia della Svizzera nel suo insieme, come evidenziato nel rapporto del Consiglio federale del 21 febbraio 2018 sulle conseguenze economiche e finanziarie dell’associazione della Svizzera a Schengen.
Le forze di polizia perderebbero l’accesso al Sistema d’informazione di Schengen, diventato uno strumento insostituibile della loro attività quotidiana con oltre 17’000 segnalazioni all’anno. L’Accordo di Dublino definisce criteri di competenza per il trattamento di una domanda d’asilo, al fine di garantire che questa non sia esaminata contemporaneamente da due Stati. Senza l’associazione del nostro Paese a Dublino, chiunque si fosse visto rifiutare lo stato di rifugiato in un Paese dell’area Dublino potrebbe presentare una nuova domanda in Svizzera.
La Svizzera trae anche vantaggi economici e finanziari sostanziali dalla propria associazione a Schengen. Il rapporto del Consiglio federale giunge alla conclusione che l’abbandono della cooperazione Schengen/Dublino provocherebbe per l’economica svizzera, entro il 2030, una perdita annua compresa tra i 4,7 e i 10,7 miliardi CHF, corrispondenti a un calo del PIL compreso tra l’1,6% e il 3,7%. L’abbandono di Schengen da parte della Svizzera avrebbe ripercussioni gravi anche per le regioni di confine svizzere e per il turismo.
Le perdite legate alla fine di questa collaborazione non potrebbero essere completamente compensate nemmeno con sforzi e investimenti notevoli.
Il 21 febbraio 2018 il Consiglio federale ha pubblicato un rapporto sulle conseguenze economiche e finanziarie dell’associazione della Svizzera a Schengen.
Con la cessazione dell’Accordo le frontiere svizzere diventerebbero frontiere esterne dell’area Schengen. Data la posizione geografica della Svizzera e l’intensità degli scambi transfrontalieri l’afflusso di persone è massiccio. Con più di 1,7 milioni di passaggi giornalieri del confine, la Svizzera trae molti vantaggi dall’associazione a Schengen e dalle facilitazioni dei controlli alle frontiere. L’abbandono dei visti Schengen avrebbe inoltre importanti ripercussioni sull’attrattiva della Svizzera come destinazione turistica e come piazza economica e scientifica.
Come precisato nel rapporto del Consiglio federale del 2018 sulle conseguenze economiche e finanziarie di un’uscita da Schengen/Dublino, in caso di abbandono del sistema Dublino, chiunque si fosse visto rifiutare una domanda d’asilo da un Paese dell’area Dublino potrebbe presentarne una nuova in Svizzera. Tale domanda dovrebbe essere materialmente esaminata dalle autorità nell’ambito della procedura ordinaria. Secondo le stime, questo potrebbe provocare costi supplementari compresi tra 109 milioni e 1,1 miliardi CHF all’anno, mentre ad oggi Dublino genera risparmi valutati attorno ai 270 milioni all’anno.
Gli Accordi di Schengen e Dublino sono due elementi essenziali della via bilaterale. Benché non vi sia una clausola giuridica che li lega ad altri accordi bilaterali, è evidente che le relazioni con l’UE risulterebbero nettamente più complicate se la Svizzera non collaborasse più con gli altri Paesi nei settori dell’asilo, delle frontiere e della sicurezza.
Documenti
Link
Pagina tematica su Schengen/Dublino
Dipartimento federale di giustizia e polizia DFGP (SEM) - dossier Dublino
Dipartimento federale di giustizia e polizia DFGP (SEM) - dossier Schengen
Dipartimento federale di giustizia e polizia DFGP (fedpol) - dossier Schengen